La storia del trapianto di rene da donatore vivente di Andrea: il regalo di un padre a sua figlia
Non ho più un rene ma ho la gioia di vedere ogni giorno i risultati del mio gesto. Ho quattro figlie, quando la più grande si è ammalata non sapevo niente di trapianti. Viviamo lontano dalle grandi città, sono nato in campagna e fino ai sedici anni non ho visto altro che campagna. Mio nonno mi ha trasmesso l’amore per gli animali e per la terra. La campagna mi ha insegnato che chi semina raccoglie, che se pianti qualcosa puoi ricevere dei frutti.
Trovare la speranza in luoghi inaspettati
Aveva ventiquattro anni quando si è sentita male e la dottoressa del nostro paese ha capito subito la gravità della situazione, ci hanno portato con l’elicottero a Palermo e l’hanno ricoverata. Nella sua camera c’era anche una ragazza che aveva avuto gli stessi problemi e ci ha raccontato la sua esperienza, consigliandoci di andare dalla dottoressa Buscemi. Non era lei che ci stava seguendo, però mi sono messo in testa che quella dottoressa doveva aiutarci. L’indomani alle cinque del mattino mi sono seduto fuori dal suo reparto che era su un altro piano dello stesso ospedale e ho aspettato. Non mi sono mosso neanche per andare in bagno, verso le undici sono entrato nella sua stanza. La dottoressa mi ha subito rincuorato, mi ha dato speranza. Grazie a lei ho capito come funziona un trapianto e che forse avrei potuto essere io stesso il donatore. Dopo aver fatto una lunga serie di visite sono risultato compatibile, era già trascorso più di un anno e la dottoressa, intanto, si era trasferita all’UPMC ISMETT, quindi ancora una volta non sarebbe stata lei a seguirci. Ho ricordato che mi aveva dato il suo numero di telefono, ero indeciso se chiamarla perché pensavo non si ricordasse. Dopo due squilli ha risposto, si ricordava di noi: ci siamo incontrati e abbiamo avviato il processo di donazione.
Intanto mia figlia aveva trascorso già più di un anno in dialisi, vedeva le sorelle che uscivano e tornavano tardi, una aveva già il fidanzato e lei non poteva fare niente di tutto questo. Doveva vivere la sua vita e non poteva. Quando ho deciso di donare il rene pensavo solo a lei. La paura ce l’avevo, ho altre figlie e il mio lavoro sostiene la famiglia ma volevo che lei avesse una vita e questo era più forte di tutto. La dottoressa ci ha rassicurato, diceva che avrei potuto continuare a fare il mio lavoro in masseria anche se è abbastanza faticoso perché faccio di tutto, da muratore a coltivatore.
La prima cosa che mi ha detto mia figlia dopo l’operazione è stata “Tu come stai?”. Si preoccupava per me e questo mi ha commosso. Lei è rinata, ha cominciato a uscire, ha trovato un ragazzo con la testa sulle spalle e stanno insieme già da un paio d’anni, adesso lui lavora con me in masseria.
Una vita trasformata: dal sacrificio al servizio
Oggi faccio parte della protezione civile, un’attività gratuita che prevede tante iniziative, non dobbiamo pensare “io ho risolto il mio problema e degli altri non me ne frega niente”, molta gente ha bisogno e mi piace aiutare. L’anno scorso la mia cavallina ha fatto un puledro, l’ho venduto e i soldi ricavati li ho donati a una bambina che si doveva operare.
La donazione mi ha cambiato, perché ho visto il risultato del mio gesto, mia figlia ha risolto i suoi problemi. Se si può aiutare per cambiare e migliorare le vite degli altri si deve fare.