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Si Può Ridurre il Rischio di Alzheimer? Intervista con la Dott.ssa Sofia Diana.

Si Può Ridurre il Rischio di Alzheimer? Intervista con la Dott.ssa Sofia Diana. | UPMC Italy

Con l’avanzare dell’età, il cervello subisce cambiamenti che possono influenzare memoria, pensiero e relazioni. Tuttavia, la malattia di Alzheimer non è un normale effetto dell’invecchiamento, ma una forma di demenza dovuta ad alterazioni cerebrali che danneggiano la comunicazione tra i neuroni.

Oggi non esiste ancora una cura definitiva, ma è possibile ridurre il rischio con alcune strategie mirate. Ne parliamo con la dottoressa Sofia Diana, specialista in neuropsicologia e psicoterapia presso UPMC Salvator Mundi International Hospital, esperta in valutazione e riabilitazione neuropsicologica di pazienti affetti da malattie neurodegenerative.

Dottoressa Diana, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, in Italia circa 1,2 milioni di persone soffrono di demenza, e il 50-60% dei casi è Alzheimer. Può spiegarci meglio di cosa si tratta?

La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza. Si tratta di una patologia neurodegenerativa che distrugge progressivamente le cellule nervose, soprattutto nelle aree del cervello che regolano apprendimento e memoria. Non è un processo naturale dell’invecchiamento, anche se l’età il principale fattore di rischio (oltre i 65 anni). Esistono però anche forme di esordio precoce, tra i 40 e i 50 anni.

È una malattia progressiva: nelle prime fasi si manifestano lievi problemi di memoria o linguaggio, ma negli stadi avanzati il paziente può perdere la capacità di svolgere attività quotidiane, l’autonomia e persino il riconoscimento dei propri cari.

Da che cosa è causata la malattia di Alzheimer?

Nelle forme giovanili, può esserci una componente genetica, ma nella maggior parte dei casi le cause non sono ancora del tutto chiare. Sono stati individuati alcuni fattori di rischio: oltre all’invecchiamento, il sesso, con le donne colpite maggiormente, tra cui:

  • età avanzata,
  • sesso femminile (le donne sono più colpite),
  • familiarità,
  • fattori ambientali e stile di vita.

Dal punto di vista biologico, i principali meccanismi sono l’accumulo anomalo di proteina beta-amiloide e proteina Tau nel cervello, che contribuiscono alla morte dei neuroni e ai deficit cognitivi.

Dottoressa, l’Alzheimer si può prevenire?

Non esiste un metodo sicuro per prevenire l’Alzheimer, ma è possibile ridurne il rischio grazie ad attività preventive.

Il primo passo è adottare uno stile di vita sano: una dieta equilibrata e l’attività fisica aiutano a mantenere il cervello in salute e a ridurre il rischio di patologie come diabete, ipertensione e colesterolo alto.

È altrettanto importante allenare le funzioni cognitive, mantenere una vita sociale attiva stimolando relazioni sociali e svolgendo attività come lettura, cruciverba, teatro e hobby.

Infine, quando c’è una diagnosi, la riabilitazione neuropsicologica o stimolazione cognitiva, è tra le forme elettive di trattamento oltre a quello farmacologico utile a rallentarne il declino e migliorare la qualità della vita del paziente e dei caregiver.

Può essere individuale o di gruppo e prevede attività di stimolazione cognitiva (memoria, linguaggio, attenzione funzioni esecutive come pianificazione e organizzazione, flessibilità cognitiva e pensiero astratto).

Può spiegarci in cosa consiste la valutazione neuropsicologica?

La valutazione neuropsicologica è un esame clinico che, attraverso test standardizzati e osservazioni specialistiche, analizza le principali funzioni cognitive, emotive e comportamentali di una persona. Serve a identificare precocemente segni di deterioramento cognitivo, monitorare l’evoluzione della malattia e pianificare trattamenti personalizzati.

Nell’Alzheimer è fondamentale, perché consente di intercettare i primi sintomi e intervenire tempestivamente per rallentare la progressione del declino.

Cosa prevede la terapia neuropsicologica per l’Alzheimer?

La terapia neuropsicologica si basa sulla plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di adattarsi anche in presenza di una malattia neurodegenerativa.

Gli obiettivi sono:

  • rallentare il declino cognitivo,
  • stimolare le funzioni residue,
  • insegnare strategie compensative per le attività quotidiane,
  • mantenere più a lungo possibile l’autonomia.

Può essere individuale o di gruppo e prevede attività di stimolazione cognitiva (memoria, linguaggio, attenzione), fisica e sociale. Un aspetto cruciale è anche il supporto e la formazione dei familiari nella gestione dei sintomi.

Se tu o una persona cara soffrite di problemi di memoria, difficoltà cognitive o di linguaggio, parlane con il medico. Una diagnosi precoce è essenziale per intervenire tempestivamente.

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