Ipertrofia Prostatica Benigna. Intervista al Prof. Pierluigi Bove.
L’ipertrofia prostatica benigna (IPB) causa ostruzione al flusso urinario e rappresenta una problematica che interessa numerosi uomini. Grazie alla progressiva innovazione tecnologica, può essere oggi trattata con tecniche sempre più mininvasive.
Il professor Pierluigi Bove, medico chirurgo specialista in urologia presso UPMC Salvator Mundi International Hospital, spiega come trattare al meglio l’IPB, a seconda dei casi, e quali vantaggi offrono le diverse tecniche, tradizionali e innovative, cosiddette “M.I.S.T.”
Professor Bove, quando si parla di trattamento dell’Ipertrofia prostatica benigna oggi si parla di tecniche M.I.S.T. Cosa si intende?
Le tecniche M.I.S.T. sono tutte le tecnologie mininvasive più recentemente adottate per il trattamento dell'ipertrofia prostatica benigna, mirate a offrire maggior comfort operatorio ai pazienti e a cercare di risolvere una problematica che affligge molti uomini, ovvero quella dell'ostruzione al flusso urinario.
Quali sono i vantaggi delle tecniche M.I.S.T.?
Il principale vantaggio che possono offrire queste tecniche riguarda, in particolare, gli uomini giovani. Molti uomini sanno che l'affacciarsi al dover fare un intervento per un'ipertrofia prostatica comporta nella gran parte dei casi la perdita dell'eiaculazione, la cosiddetta eiaculazione retrograda, e questo è un problema che altera in maniera significativa spesso la sessualità degli uomini. Queste procedure hanno il vantaggio di conservare, nella gran parte dei casi, l'eiaculazione.
Le tecniche M.I.S.T. possono essere considerate efficaci nel lungo termine per il trattamento dell’Ipertrofia Prostatica Benigna?
Come riportano i dati statistici, a cinque anni dalle procedure considerate nell'insieme, il 60% dei pazienti ne trae ancora beneficio, mentre il 40% è destinato o a riprendere la terapia medica, in particolare con i farmaci alfa-litici, utilizzati tradizionalmente nelle problematiche ostruttive, o eventualmente a considerare interventi più disostruttivi.
Le tecniche M.I.S.T. sono quindi un tipo di procedura che, normalmente, consiglio sempre nel paziente giovane e motivato a conservare l'eiaculazione. Sono trattamenti che possono avere dei vantaggi e che quando, e se necessario, possono essere anche ripetuti nel tempo.
Quali sono, invece, le tecniche chirurgiche tradizionali?
La tecnica tradizionale per eccellenza, che riguarda il trattamento dell'ipertrofia prostatica, è la cosiddetta TURP (TransUrethral Resection of the Prostate), acronimo inglese che indica la resezione prostatica transuretrale. Si tratta di una tecnica ancora validissima ma con il limite dei volumi prostatici, ovvero è adatta per il trattamento di prostate che hanno 40, 50, 60 ml di volume. Via via che aumentiamo con i volumi, invece, oggi bisogna considerare come tecniche di elezione l’utilizzo dei laser. I laser principalmente impiegati sono il laser al tullio e il laser ad olmio, le cosiddette ThuLEP e HOLEP, che sono procedure estremamente efficaci in quanto consentono di eradicare in maniera completa l'adenoma. L'adenoma della prostata è la parte centrale che crescendo determina l'ostruzione. I laser permettono di asportare tutta la prostata, riducendo al massimo il rischio di recidiva negli anni a venire.
Professor Bove, quali sono i vantaggi che le tecniche tradizionali offrono rispetto alle M.I.S.T?
Il vantaggio principale è quello di eradicare la malattia, quindi, se valutiamo i pazienti nei 10 anni successivi all’intervento, più dell'80% dei pazienti ancora ha una buona efficacia del trattamento eseguito. L’aspetto importante da considerare è l'età in cui ci si opera. Se si opera una persona che ha 50 anni, con un’aspettativa di vita di 30-35 anni, è chiaro che, probabilmente, un tema di recidiva nel tempo potrebbe esserci.
Esistono dei rischi associati alle tecniche tradizionali?
Il rischio è quello dell'eiaculazione retrograda, sebbene non sia da considerare una patologia. Mi sento, in questo senso, anche di tranquillizzare i pazienti. Molti sono spaventati, temendo problematiche di erezione o legate all'orgasmo, che però non riguardano questa tipologia di interventi in particolare, ma riguardano gli interventi per tumore.
Negli interventi per ipertrofia benigna, l’unico effetto collaterale permanente è l'eiaculazione retrograda. Diverse sono invece le conseguenze di incontinenza e deficit erettile negli interventi di prostatectomia radicale per tumore.
Altre complicanze che possono seguire l'intervento, in genere, sono perioperatorie, ovvero che tendono a esaurirsi nel giro di un mese o un mese e mezzo e sono legate alla frequenza e all'urgenza. Nell’immediato post-operatorio, inoltre, i pazienti possono rilevare delle tracce di sangue e, a volte, una certa percentuale di incontinenza, che è relativa soltanto allo stress chirurgico ed è un fenomeno assolutamente transitorio nella quasi totalità dei casi.
Professor Bove, quali sono i tempi di recupero di un intervento di Ipertrofia Prostatica Benigna?
I tempi di recupero oggi sono ovviamente differenti a seconda del tipo di procedura che viene eseguita. I pazienti possono essere dimessi, in generale, o in prima o in seconda giornata del post-operatorio. In linea di massima, entro una settimana è possibile riprendere le normali abitudini di vita, sebbene sempre con moderazione, e una ripresa completa di tutte le attività come prima dell’intervento, nel giro di un mese o un mese e mezzo, nella gran parte dei casi.
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